Kvetch

Rappresentato al Teatro Argot Stagione 2009-10

di Steven Berkoff

regia e adattamento Tiziano Panici

con Ivan Zerbinati , Laura Bussani, Simone Luglio, Federico Giani

scene e luci Nicola Bruschi
musiche originali David Matteucci
costumi Anita Ferri
tecnico luci Paolo Meglio
ideazione grafica Angelo Sindoni
produzione esecutiva Pierfrancesco Pisani

In Kvetch, che in ebraico significa piagnistei, Berkoff dipinge in modo caustico e graffiante un apparentemente normale quadretto familiare. Scrive l’autore che la commedia è dedicata a chi ha paura, ossia a tutti. Oggi abbiamo paura degli uomini, delle donne, delle guerre, della morte, delle malattie, della disoccupazione e delle bollette da pagare. Abbiamo paura di ingrassare, di essere stupidi, di non capire una barzelletta, di fallire. La commedia è costruita su una geometria precisa, che non lascia scampo: i dialoghi, specchio di una scialba quotidianità, sono continuamente interrotti dai pensieri dei personaggi e dai loro monologhi interiori rivelando quello che è il messaggio più forte del testo: l’umanissima discrepanza fra ciò che si fa e ciò che si vorrebbe fare, e la contraddizione in cui tutti, prima o poi, si cade, quando si ottiene l’opposto di ciò che si aveva prima e si desidera tornare alla situazione precedente.

Il plot è piuttosto banale, pressoché inesistente, una storia di letti, di coppie che si disfano e si formano. C’è Frank, marito annoiato e lamentoso, che scopre di essere omosessuale e ha una relazione col suo collega appena abbandonato dalla moglie; c’è Donna, la moglie frustrata di Frank che sogna di essere violentata da due spazzini e ha una relazione con un cliente del marito; c’è la vecchia, imbarazzante e onnipresente suocera. Ma è quello che c’è dietro ad essere interessante: i cinque personaggi si muovono, infatti, su una doppia linea, e lo spettatore ne vede non solo i gesti, ma anche i pensieri. I banali dialoghi sono costantemente interrotti da alcuni brevi monologhi in cui i personaggi finalmente riescono a dar voce ai loro reali pensieri. I pensieri sono liberi. Liberi ma visibili e vivibili; in Kvetch troverete i segreti, nevrotici e paranoici di borghesi dalle vedute ristrette, frustrati, che celebrano un gioco di scambi senza barriere tra sogno e realtà. In tal modo Berkoff mostra spietatamente la distanza che esiste tra ciò che un uomo dice e fa e quello che pensa. Ad essere analizzata e messa alla berlina non è soltanto la famiglia quindi, ma l’individuo stesso, mostrato in tutta la sua umana debolezza. La parola dell’autore è pungente, beffarda, urticante.

È di questo che parla il testo. Lamentarsi con se stessi e con il prossimo. Piangere la sconfitta, quella vera. Non esiste niente di più insopportabile.

Piagnistei. Una parola davvero orribile.  

Tiziano Panici

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