DAL 4 OTTOBRE 2017
mar-sab ore 20.30 dom ore 17.30
ARGOT PRODUZIONI
DALL’ALTO
DI UNA FREDDA TORRE
di Filippo Gili
regia Francesco Frangipane
con Massimiliano Benvenuto, Ermanno De Biagi,
Michela Martini, Aglaia Mora, Matteo Quinzi
e Vanessa Scalera
musiche Jonis Bascir
scenografia Francesco Ghisu
costumi Sabrina Beretta
light designer Giuseppe Filipponio
durata 100'
foto di copertina di Manuela Giusto
“...Nel mare piatto della drammaturgia italiana, capita di incontrare un piccolo gioiello. È il caso di Dall’alto di una fredda torre... Il testo è perfetto, meccanismo a orologeria che progredisce per innesti di moti d’animo, costruisce l’attesa di una possibilità ma si inabissa pian piano verso l’empasse, verso quella adultità che rifugge il gesto responsabile: per questo è una tragedia mozza. Ed è la regia di Frangipane che orienta un gruppo di attori in sincrono con quella distonia esistenziale. Riesce a rendere la “rappresentazione” più sospesa, quasi metafisica, spostandone i quadri in cornici cinematografiche efficaci e dove il lavoro attorale acquista una credibilità coerente…”.
“…Parlano anche i silenzi. Gli sguardi. I gesti trattenuti, e quelli manifesti. Parlano i pensieri sottesi, inespressi, che intuiamo. E le posture dei corpi. Le parole, invece, che udiamo, recano sentimenti intimi che, improvvisamente, aprono baratri che determinano l'esistenza… Il drammaturgo Filippo Gili ritrae questo gruppo di famiglia fotografandone i moti interiori, facendo affiorare luci e ombre dell'anima… La recitazione naturalistica chiesta dal regista Francesco Frangipane al sestetto di attori ha l'effetto coinvolgente di immedesimarci nel dramma, di interpellarci, di scuoterci. E scavare anche in noi, come la goccia d'acqua lenta e inesorabile che cade e di cui udiamo il suono, il dilemma, l'impotenza, la responsabilità di una scelta....”.
“… Quattordici i quadri che si avvicendano in questa sinfonia delle parti, e la regia di Francesco Frangipane, ancora una volta in duetto con Gili, condensa la tensione della drammaturgia in una ritualità essenziale e concreta. E gli attori, su tutti un Ermanno De Biagi capace di far parlare il silenzio con l’ironia sorniona dei suoi sguardi, intercettano una modernità fragile e compromessa. Nelle luci che sfumano sul finale, infatti, non è l’universalità della morte la sconfitta più bruciante, ma l’incapacità di arrendervisi…”.
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“…Parlano anche i silenzi. Gli sguardi. I gesti trattenuti, e quelli manifesti. Parlano i pensieri sottesi, inespressi, che intuiamo. E le posture dei corpi. Le parole, invece, che udiamo, recano sentimenti intimi che, improvvisamente, aprono baratri che determinano l'esistenza… Il drammaturgo Filippo Gili ritrae questo gruppo di famiglia fotografandone i moti interiori, facendo affiorare luci e ombre dell'anima… La recitazione naturalistica chiesta dal regista Francesco Frangipane al sestetto di attori ha l'effetto coinvolgente di immedesimarci nel dramma, di interpellarci, di scuoterci. E scavare anche in noi, come la goccia d'acqua lenta e inesorabile che cade e di cui udiamo il suono, il dilemma, l'impotenza, la responsabilità di una scelta....”.
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Quattordici quadri che vanno a comporre una tragedia.
Sei personaggi: un padre e una madre, un figlio e una figlia, due medici. Una normalità familiare stravolta dalla malattia, due genitori ignari del loro destino, due figli piegati dal peso di una scelta, due medici testimoni del dramma. Tre ambienti ben definiti: una sala da pranzo, uno studio medico e un non luogo dove i vari personaggi si affrontano/scontrano su grandi questioni morali ed esistenziali. Il pubblico, non più semplice spettatore, che accerchia lo spazio scenico quasi a invaderlo, quasi a condividerlo con i personaggi in una comunione di emozioni e stati d’animo.
"Dall’alto di una fredda torre pone l’angoscioso dilemma se sia giusto o no incidere sul destino degli altri, se sia lecito sostituirsi al fato, ponendo i protagonisti di fronte alla facoltà/responsabilità di dover decidere se far Vivere e/o far Morire un uomo, facendosi carico di tutta la questione morale e sociale che ne consegue. Grandi temi universali che, focalizzati in un contesto più piccolo, la famiglia, permettono, proprio grazie alla riconoscibilità di situazioni quotidiane, di predisporre il pubblico ad un meccanismo automatico d’immedesimazione e di catarsi. Tutto ciò facilitato da un’idea di allestimento che tiene il pubblico dentro la scena, che accompagna lo spettatore per mano dentro la storia stessa e lo induce a condividere le emozioni dei personaggi fino a farsi carico delle loro domande e dilemmi".
Francesco Frangipane
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