Residenza Artistica | 11-14 MAGGIO
Restituzione pubblica | 14 MAGGIO ORE 17:30
Uccelli di Passo – Collettivo BEstand
Gli uccelli di passo sono presenze di una breve stagione, che vivono tempi e luoghi transitori. Quattro adolescenti esplorano un albergo in rovina, un non-luogo abbandonato di un’Italia di provincia. Giochi e invenzioni si susseguono in bizzarri non sequitur: si inscenano matrimoni, parti, funerali, indagini e processi sommari, pestaggi, sbronze tra pirati, in un movimento frenetico che corre sul posto. Ma ogni gioco che si protrae all’infinito prima o poi svela il suo volto perturbante. La gioventù è un mito che urta contro il muro del tempo.
Uccelli di passo è una scrittura scenica che indaga l’immaginario esploso delle nostre infanzie e i riti d’iniziazione alla vita adulta, in cui la crescita è un trauma e il principio di realtà è il mostro che ci divora. O anche, un gioco di castelli di sabbia che cadono con il cambiare dei codici: un disturbo dell’attenzione agisce sugli eventi, spostando costantemente il senso delle azioni. La drammaturgia parte dalle suggestioni del Peter Pan di J.M Barrie e le sviluppa tramite un lavoro di autofiction che coinvolge gli attori. Con loro entriamo in un albergo fatiscente di cui emergono pochi elementi sospesi nello spazio: una vasca da bagno, dei tendaggi laceri, teli di plastica, un carrellino per il trasporto dei bagagli. Attraverso una continua risignificazione degli oggetti e degli spazi, l’albergo diventa un microcosmo fantastico, ora una chiesa ora un cimitero, un ristorante o una questura, una nave vichinga. È un mondo-isola in cui il tempo ha natura granulare, come ipotizza la fisica quantistica: passato presente futuro coesistono e si sovrappongono, tutte le possibilità racchiuse in un unico istante. La regia rende conto di questa singolare forma del tempo attraverso fermi-immagine, ralenty, accelerazioni, ripetizioni, bolle che si aprono nel mezzo delle azioni in cui la voce amplificata degli interpreti restituisce una dimensione interiore.
LA SCRITTURA SCENICA: STRUTTURE DI GIOCO E AUTOFICTION
Abbiamo riletto in filigrana il Peter Pan, trattandolo al pari di un mito moderno e calandolo nei nostri giorni: l’invenzione di un’infanzia eterna, come momento anarchico e critica alla vita integrata, rifiuto e ribellione. Ma anche come fantasmagoria malinconica di possibilità perdute e di tensioni utopiche. Abbiamo ricollocato i bambini sperduti nell’età transitoria tra la libertà dell’infanzia e le costrizioni, i compromessi, le amarezze della vita adulta. Abbiamo intrapreso un lavoro di scrittura scenica incentrato sull’autofiction e su strutture ricorrenti di gioco. Da un lato l’onnipotenza del “facciamo che io ero”, una formula capace di evocare e disfare mondi in una battuta: i nostri ragazzi diventano di volta in volta vandali, preti, sindaci, mogli e mariti, datori di lavoro, imitano le forme della vita adulta con umorismo caustico, si prendono gioco di ogni ruolo e gerarchia mettendone in luce la violenza e l’assurdo. Sull’altro versante, abbiamo lavorato alla ricostruzione di uno spaccato di realtà che ci riguarda personalmente, un’adolescenza vissuta in una provincia possibile, e il sentimento di malinconia e perdita che segna ogni processo di maturazione. L’intento non è definire i personaggi sugli attori, ma usare l’esperienza viva per costruire una biografia collettiva riconoscibile, in cui si confondono le carte tra reale e fittizio.
L’autofiction diventa dunque elemento strutturale, fa da reagente per l’irruzione del principio di realtà: i mondi inventati sono minati dalle progressive aperture verso frammenti di vita reale che emergono come rimossi, fino a un punto di non ritorno in cui i protagonisti sono proiettati in un’età adulta che ha i connotati di un incubo. I giochi diventano meccanismi inceppati, gesticolazioni alienate. Crescere è una violenza che si subisce e si perpetra.