IL CIELO cambia in ARGÔsTudio
Sotto il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma
24 ottobre 1984 – H 24
Oggi, ottobre 2024. L’indirizzo è ancora quello. Il numero di telefono anche.
Portando l’orologio indietro di quarant’anni ci troviamo di fronte allo stesso portone, che affaccia su Piazza San Cosimato a Trastevere. A breve una delle storiche cantine che hanno reso celebre la città di Roma e le sue avanguardie artistiche cambierà per sempre.
IL CIELO è il nome del locale che negli anni ‘70 aveva ospitato alcuni dei gruppi teatrali che hanno rivoluzionato il modo di far partecipare il pubblico a teatro, portando gli spettatori in spazi solitamente piccoli e non convenzionali, che oggi definiremmo spazi off o “fringe” ma che all’epoca si chiamavano semplicemente “cantine”. Qui un giovanissimo Maurizio Panici muoveva i suoi primi passi in ambito teatrale, da autodidatta, formandosi nella compagnia La Giostra, insieme a personaggi come Luigi Maria Musati (in seguito direttore dell’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’amico), Romano Rocchi (mimo e performer della generazione di Victor Cavallo e Carmelo Bene), il compositore e pianista Antonello Neri (tra i fondatori del gruppo Nuova Consonanza, di cui facevano parte anche Ennio Morricone e Giancarlo Schiaffini).
Nell’anno 1984, deciso a cambiare radicalmente il linguaggio e la proposta artistica presente nella capitale rileva lo spazio storico, battezzandolo con un nuovo nome capace di rispecchiare questo forte cambio d’identità: Argôt.
Panici sentiva la necessità di trovare un nome che fosse facilmente riconoscibile, ma che rappresentasse il pensiero che in quel momento muoveva un giovane artista nell’aprire uno spazio nella capitale. Il nome Argot affonda le sue radici nel binomio Art. Got. , l’arte della luce per i popoli nordici che nella progettazione delle loro cattedrali gotiche puntavano verso il cielo. Una tensione che nasceva dalla volontà di elevare l’atto artistico oltre i confini quotidiani per elevarsi verso un ideale più alto. Argôt era anche la lingua verde, una sorta di esperanto, una lingua universale ma allo stesso tempo un codice, uno slang attraverso cui comunicavano diversi gruppi sociali a partire dal XIII secolo: criminali, militari, ma anche artisti e gente di strada. In linea con la ricerca dei nuovi linguaggi artistici che si voleva intraprendere, con un rimando più o meno diretto anche all’impresa dei mitici argonauti, questo era il nome giusto. L’equipaggio che si imbarcò allora in quell’impresa, oltre al visionario Maurizio Panici, contava Marco Delogu e Sergio Colabona, oggi rispettivamente due delle maggiori autorità culturali nel campo della fotografia e dell’audiovisivo in ambito nazionale e internazionale, con i quali fu aperto anche l’Argot Teatro, un secondo spazio al numero 21 di Via Natale del Grande, dove da un’ex-lavanderia fu creata una seconda sala teatrale che ospitò le prime produzioni made-in-argot. A bordo c’erano anche l’artista e scenografo Tiziano Fario (al fianco di Carmelo Bene nel suo ultimo periodo di attività) e Serena Grandicelli, compagna di vita di Maurizio e per anni responsabile della comunicazione e curatrice artistica dello spazio.
Così ebbe inizio una delle più importanti imprese teatrali della storia recente della capitale (e non solo) destinata a resistere e a trasformarsi per oltre quattro decenni. Oggi, esattamente a quarant’anni dalla nascita, questa mostra ne attraversa le origini e traccia nuove prospettive per il futuro