Uno Spettro si aggira per l’Italia… quello dello Spettacolo dal Vivo

«L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire».

Epigrafe incisa sull’architrave del portico del Teatro Massimo di Palermo

 

Uno Spettro si aggira per l’Italia…ma al contrario di quello descritto da Marx nel suo “Manifesto del Partito Comunista”, il nostro fantasma sembra incutere ben poco timore, vagando spaurito e sofferente per l’apparente invisibilità agli occhi di tutti. Sto parlando dello Spettacolo dal vivo, che in questi giorni sembra essere stato completamente dimenticato dal Governo. Domenica 26 aprile 2020 il Presidente del Consiglio è tornato a parlare alla nazione per dettare le linee guida della famosa “Fase 2” che tutto il paese aspettava con trepidazione, non fosse altro che per sapere se fosse finalmente arrivato il momento di mettere fine al lungo periodo che ci ha visti chiusi nelle nostre case a fronteggiare gli effetti di una pandemia globale, che purtroppo ha fatto moltissime vittime.

Se da una parte tutti gli italiani hanno accettato senza discutere le regole imposte per limitare il numero dei contagi, confinandosi tra le mura domestiche e chiudendo le proprie attività, altrettanto forte è la volontà di tornare ad essere protagonisti delle nostre vite, riprendendo il lavoro e la produttività. Scrivo queste parole con la consapevolezza e la premessa di essere sempre dalla parte del fare, come molti colleghi appartenenti al mio settore: negli ultimi due mesi gli artisti e i lavoratori nel campo della conoscenza sono stati tra i primi a reagire positivamente e creativamente, incoraggiando le persone a stare a casa, e cercando da subito di inventarsi ogni genere di servizi per mantenere alta l’attenzione delle persone sulla fondamentale presenza della cultura e dell’arte nella vita quotidiana, necessaria quanto il cibo e lo sport.

In molti tra i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo, attori e attrici ma anche scrittori e giornalisti, registi e operatori culturali hanno cercato di tenere vivo un dialogo e un dibattito politico, per mettere in risalto agli occhi di chi, in questo momento, è chiamato a fronteggiare una crisi senza precedenti, la difficoltà di un settore che non è stato mai normato in maniera adeguata, sempre scarsamente rappresentato dai sindacati o dalle organizzazioni di categoria, sempre vessato sul tema della contribuzione e dell’inquadramento del lavoratore come categoria riconosciuta, forma di impresa – individuale o collettiva – o semplice associazione culturale. E la politica ha puntualmente risposto con un silenzio inquietante: nel discorso del 26 aprile non una parola è stata spesa per citare la funzione del cinema, del teatro, della musica e delle arti performative tutte, nella società civile ed economica in cui tutti viviamo e che ora deve immaginare come ripartire.

Questa lettera aperta, ancora una volta, non vuole essere solamente un atto d’accusa ma un ennesimo momento per riflettere: come sempre la colpa della nostra invisibilità finisce per ricadere su noi stessi. Sembra che chi lavora nell’impiego dello spettacolo – che sia pubblico o privato – sia incapace di rappresentarsi, di prendersi adeguatamente cura di sé e di essere cooperativo per riuscire a trovare delle soluzioni. Chi opera nel settore culturale viene spesso dipinto come ingenuo sognatore incapace di incidere davvero sul tessuto produttivo della società. Ma alla vigilia delle celebrazioni per la Festa del 1 maggio dei Lavoratori e delle Lavoratrici, vorrei invitare lo Stato e la politica a riflettere seriamente sul nostro ruolo di lavoratori all’interno della società di cui sono chiamati a fare da garanti, per la tutela dell’arte e della conoscenza, per cercare di restituire dignità a ogni forma di lavoro che sia dipendente, autonomo o precario.

Il mio augurio per il futuro è che la politica sia in grado di tornare a dare il giusto peso alla cultura, alla formazione e alla conoscenza come valori fondamentali per la sopravvivenza dello Stato e della cosa pubblica, riconoscendo il valore economico e l’indotto reale che i comparti dello spettacolo rappresentano per il nostro paese. Questa economia non si regge solamente sul corpo della nostra eredità museale o del patrimonio artistico ma si nutre delle vite di migliaia di lavoratori che ogni giorno impegnano sé stessi affinché quel valore venga valorizzato in una nuova forma viva e tangibile e come espressione dell’intelligenza, della bellezza e della sensibilità di un intero paese.

Altrimenti, a tutti i cittadini che abitano il suolo italiano, non resterà che un cumulo di macerie su cui cercare di riedificare la propria identità e il proprio valore.

Il Direttore Artistico

Tiziano Panici

 

Uno Spettro si aggira per l’Italia… quello dello Spettacolo dal Vivo

Sospensione della stagione 2019/2020

“Aprile è il mese più crudele”

T.S. Eliot, The Waste Land

La scorsa settimana, venerdì 27 marzo, abbiamo pubblicato sui nostri canali il messaggio del drammaturgo pakistano Shahid Mahmood Nadeem, la cui voce ha fatto il giro del mondo in questo momento segnato da una battaglia globale contro il COVID-19, un virus che, prima di qualsiasi altra cosa, ha messo in crisi il nostro essere “uomini sociali”.

La nuova vita, che ci siamo trovati a vivere nel rifugio delle nostre case, deve rispettare delle regole fondamentali che però hanno  capovolto la scala di valori su cui si basa il nostro lavoro e la nostra vita in gruppo: contatto e partecipazione sono i principi su cui si fondano gran parte delle comunità umane, e quella del Teatro non fa eccezione.
Ecco che allora le parole di Shahid ci hanno dato modo di riflettere. In questo momento così complesso, il pensiero è uno dei pochi beni preziosi di cui non possiamo e non dobbiamo fare a meno.

L’autore del messaggio della Giornata Internazionale parla del Teatro come un Tempio e dell’attore come Avatar, una reincarnazione di qualcosa di sacro. Per quanto molto potente non è stato questo accostamento tra sacro e profano a colpirci. Qualunque vero teatrante benedice dentro di sé le assi del palcoscenico, prima di salirci sopra, e immola la propria vita (sbagliando, perdendosi o inciampando) alla ricerca di qualcosa che ritiene sacro.

Quello che ci ha fatto riflettere è invece il fatto che la sacralità del Teatro rimane immutata nei secoli. Cambiano le società, la politica, le guerre e le calamità della natura. Non è certo il Teatro a essere in pericolo. Siamo noi uomini a essere minacciati.

Non è il Teatro a cambiare. Siamo noi uomini, suoi sacerdoti, a doverci adattare alle difficoltà della vita e riscriverle per il palcoscenico. Il Teatro non morirà. Tutt’al più sarà necessario constatare se saremo noi in grado di sopravvivere, mutando forma e imparando a raccontare ancora una volta il mondo e il nostro tempo che, dopo quanto è accaduto, ne siamo certi, non rimarrà immutato. È a questo pensiero che il Teatro Argot rivolge in questo momento il suo sguardo verso il futuro.

In questo inizio di aprile, quasi fosse uno scherzo di cattivo gusto, con l’avvento della primavera, dobbiamo comunicare la sospensione della nostra stagione 2019/2020. Questo comunicato avrebbe dovuto presentare la seconda edizione della Rassegna OVER_Emergenze Teatrali, promossa da ARGOT con la collaborazione del Teatro NEST di Napoli, Theatron 2.0 e Dominio Pubblico, e con la complicità di molte altre realtà. Avrebbe offerto a 5 compagnie uno spazio di presentazione al termine della stagione e l’avviamento di un nuovo progetto di accompagnamento alla produzione di spettacoli inediti.

Invece dobbiamo ora, attraverso questo comunicato, dare comunicazione della sospensione delle attività teatrali fino a data da destinarsi. Purtroppo a distanza di quasi quattro settimane dalla chiusura del Teatro Argot Studio, in data 4 marzo 2020, è ormai chiaro che la battaglia che stiamo combattendo si estende oltre i confini delle nostre case, dei nostri uffici e del nostro paese.

La rassegna OVER sarebbe stata l’ultimo evento di questa stagione. Fino all’ultimo ci abbiamo lavorato e abbiamo sperato che potesse segnare un punto di ripresa e una festa per la riapertura del Teatro e della Città. Ormai è chiaro per tutti che non sarà così.

Aspettiamo i prossimi giorni per sapere cosa succederà ma il governo sta già varando l’estensione delle misure restrittive fino a dopo la Pasqua. Anche se ci fosse consentito di riaprire gli uffici ai primi di maggio non verranno ancora permessi assembramenti e pertanto la distanza sociale resterà una delle principali misure di sicurezza anche nell’immediato futuro, almeno nei termini previsti per la fine dell’emergenza. In questa situazione non è pensabile tenere aperto un Teatro. Mettere in moto la macchina della comunicazione e della promozione in una situazione in cui anche tutte le altre attività commerciali italiane sono paralizzate. Mancano le condizioni minime insomma.

Per questa ragione è impensabile che il Teatro Argot possa nei prossimi mesi ospitare eventi di pubblico spettacolo. Ci auguriamo che non sia una prospettiva più lunga della prossima estate perché se così non fosse questo potrebbe cambiare decisamente il nostro futuro. Ma anche su questo è presto per fare pronostici, in positivo o in negativo.

Nella speranza che l’autunno si dispieghi davanti a noi come un momento di ripartenza cercheremo di mantenere attive tutte le attività che ci verrà concesso di ospitare. Quello di cui siamo sicuri è che, non appena sarà possibile, riapriremo gli uffici e ci dedicheremo a lavorare ai prossimi progetti, viaggiando parallelamente al resto del mondo e raddrizzando il tiro passo dopo passo. È importante, a nostro avviso, comunicare questa scelta verso l’esterno e dare un segnale, anche di riflessione.

Nel frattempo continuiamo a immaginare il futuro; siete dunque tutti invitati a pensarlo insieme a noi: inviateci le vostre proposte a argot.teatrodidomani@gmail.com anche per immaginare insieme il Teatro di domani. In che modo potrà continuare a esistere e a resistere. Vogliamo che la nostra riflessione sia condivisa e aperta e che possa accogliere le proposte degli artisti che da sempre ci sono vicini, ma anche quella dei nostri spettatori più affezionati e di quelli che invece devono ancora venire.

Chi ha abitato, vissuto e supportato il nostro spazio in via Natale del Grande sa che per oltre trent’anni è stata la casa di artisti e persone capaci di ripensare e ribellarsi alla realtà attraverso l’arte e l’immaginazione: il teatro riproduce, sì, la realtà, ma lo fa in un modo tutto suo. La vita in teatro è fatta di luci e di ombre, e anche in questo particolare momento, così oscuro, sappiamo che sapremo ripensarla insieme e illuminare il nostro cammino verso il prossimo approdo.

 

La Direzione insieme allo Staff Argot

 

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